La prima news di giugno si concentra proprio su questo tema, presentando i risultati di un recente studio internazionale condotto dall’Università di Albany (Nuova Zelanda) in collaborazione con ricercatori finlandesi. Utilizzando tecniche avanzate di intelligenza artificiale il team ha condotto una revisione sistematica della letteratura scientifica, facendo luce su un tema da sempre controverso: l’origine e la gestione dei sintomi persistenti di Lyme che una percentuale di pazienti (stimata fino al 25%) continua a manifestare anche dopo la terapia antibiotica.
Il cuore del dibattito ruota attorno a due spiegazioni principali:
– la Sindrome post trattamento della malattia di Lyme (PTLDS– Post-Treatment Lyme Disease Syndrome)considera i sintomi persistenti — stanchezza, dolori muscolari e disturbi cognitivi — come conseguenza della malattia di Lyme, senza la presenza attiva del batterio,
– la malattia di Lyme cronica (CLD – Chronic Lyme Disease): sostiene invece che in un sottogruppo di pazienti l’infezione può persistere nel tempo, giustificando l’uso di trattamenti antibiotici prolungati.
Lo studio traccia il cambiamento intervenuto nel panorama della ricerca: dagli anni 2000, quando i lavori a sostegno della malattia cronica erano più numerosi, si è passati a un progressivo aumento di pubblicazioni favorevoli alla visione PTLDS, soprattutto dopo il 2010.
Questa tendenza riflette l’orientamento di una delle principali società scientifiche, l’Infectious Diseases Society of America (IDSA), che si è espressa a favore di spiegazioni immuno-mediate (PTLDS), in contrapposizione a organizzazioni come l’International Lyme and Associated Diseases Society (ILADS) a favore invece del riconoscimento della malattia di Lyme cronica.
Parallelamente, si è osservata una diminuzione degli studi clinici sull’efficacia degli antibiotici prolungati, mentre è cresciuto l’interesse verso la definizione di biomarcatori diagnostici affidabili e di nuovi farmaci, due aree che vedono attivamente impegnata la comunità scientifica, ma il cui avanzamento non è privo di difficoltà.
Lo studio mette in evidenza anche la dimensione socioculturale e mediatica del dibattito su Lyme.
Se da un lato le organizzazioni scientifiche e mediche tendono a una visione cauta, basata su evidenze e risultati di ricerca, dall’altro gruppi di pazienti e comunità online spingono per il riconoscimento della malattia cronica, dando voce a esperienze personali spesso escluse dalla narrativa medica ufficiale.
Questa “resistenza epistemica” — come definita nel campo degli studi scientifici e tecnologici (Science and Technology Studies – STS) — è amplificata dai social media, dove proliferano narrazioni alternative, talvolta infondate, che contribuiscono a minare la fiducia nella medicina convenzionale. La conseguenza? Cresce il rischio che i pazienti si allontanino dalle linee guida ufficiali per cercare forme diagnostiche alternative e trattamenti non verificati o non sicuri.
Tra i messaggi più forti lanciati dallo studio c’è l’invito alla comunità medica a non ignorare le esperienze dei pazienti, anche in assenza di certezze diagnostiche. L’adozione di modelli di cura incentrati sulla persona potrebbe migliorare l’alleanza terapeutica e contrastare l’erosione della fiducia nelle istituzioni sanitarie.
Il lavoro rappresenta un contributo innovativo per l’epistemologia della medicina contemporanea: l’uso di modelli linguistici di intelligenza artificiale, integrati con una validazione umana strutturata, permette di mappare su larga scala le dinamiche evolutive del discorso scientifico sulla malattia di Lyme. L’approccio apre nuovi scenari per l’analisi e l’approfondimento delle controversie mediche esistenti e può rivelarsi utile anche in altri campi.
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